Il cristiano nel cammino della sua vita ama la comunione con il Padre come senso qualificante la sua storia.
Tutta la sua vita (dicevamo domenica scorsa) è orientata ad entrare nella comunione divina.
Questo comporta che assumiamo in modo continuo la sensibilità e l’interiorità di Gesù. L’ha detto molto bene l’Apostolo Paolo: “Abbiate voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”.
Contemplando questa esperienza di Cristo cerchiamo di comprendere il senso della Parola che Gesù ci comunica sia attraverso la testimonianza di Matteo che del profeta Ezechiele poiché il cristiano, contemplando Cristo, deve prendere coscienza del senso vero della sua esperienza nel tempo.
La sua vita deve essere sempre l’incontro tra due “sì”.
Se guardiamo attentamente la storia dell’uomo, quando questi vuol veramente essere autentico, sa che la sua esistenza è un meraviglioso dialogo con Dio. La grandezza dell’evento cristiano è che Dio parla all’uomo e l’uomo risponde a Dio; in questo dialogo l’uomo realizza se stesso: Dio parla, l’uomo obbedisce.
È il mistero stesso di Cristo che, nella sua esistenza, è stato continuamente un sì al Padre. Volendo definire l’esistenza del discepolo fino in fondo, egli è un “eccomi” continuo nelle mani di Dio.
In questo l’uomo entra nella vera imitazione di Cristo….
Entrando nella parabola sullo sfondo del testo di Ezechiele ci accorgiamo che la vita dell’uomo non è un continuo sì e, davanti a noi, si prospettano le due immagini: l’immagine del figlio che ha detto sì (e poi non è andato) e l’immagine dell’uomo che non sa vivere (e quindi leggere la propria storia come oggi Dio che viene).
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